PECCATO E CONVERSIONE
Se il peccato è rifiuto dell'amicizia con Dio, la possibilità della resipescenza è offerta solo dalla sua iniziativa, anteriore ad ogni sforzo e tentativo della creatura.
Ora, come la prima infusione della grazia si deve alla causalità del Cristo, fonte e tipo d'ogni santità, angelica ed umana; così il ricupero della medesima può attribuirsi solo ai meriti della sua Passione.
A questa, infatti, risale-e in essa si ritrova e acquista un senso - il processo di quella conversione che si svolge come trapasso dalla negazione alla ri-affermazione di Dio, dal rifiuto alla sua intimità, dalla rottura alla riconciliazione.
E' per quie meriti che la grazia del Cristo Cricifisso- risorto investe l'anima, ne irradia la coscienza, ne stimola il cuore cedendo alle sue sollecitazioni, il peccatore è straziato dal rimorso dell'offesa di Dio.
Il dramma ritrae l'Agonia del Getsemani in ciò che di salutare esso significa per una creatura colpevole e pentita. Il suo * rimorso * è condanna del proprio operato, disgusto di sè, confusione e tristezza tanto più profonda quanto più l'amore, purificandosi, fa intuire la gravità del peccato come folle ripudio di Dio assai più che come danno personale che ne segue nell'ineluttabile sanzione dell'apostasia dal Bene...
Siamo a quella penitenza che, capovolgendo le disposizioni dell'anima, le fa sperimentare le sublimi angosce di uan morte che rigenera alla nuova vita del Cristo; umliato come personificazione del peccato; ed esaltato nel trionfo della sua innocenza di Vittima.
Egli perciò emerge come il Penitente- tipo, criterio universale del ravvedimento, che partecipa ad ogni peccatore la sua vittoria su tutto il male del mondo; ogni conversione celebra il mistero pasquale come ineffabile passaggio dalla morte alla vita, dalla Giustizia che espia alla Misericordia che salva.